CAPITOLO I QUINDICI

Al processo alla Muti fui interrogato ma solo sulle centomila lire che le avevo dato

LA COMMISSIONE DI EPURAZIONE

A Milano ripresi la mia vita normale
mentre ferveva la ripresa nazionale,
ma da comitato di liberazione,
come rappresentante del Partito d’Azione,
a presidente della commissione di epurazione
della questura di Milano venni nominato
con altri undici membri di simil stato.
Dovetti accettare per non venir meno
alla disciplina di partito, perlomeno.

Di tale oneroso incarico fu proponente
un sedicente amico, che a sé quello di consulente –
commissario politico – della Montecatini
riservò per evidenti personali fini
trattandosi di un chimico dagli appetiti sopraffini.

Di questa mia nomina ebbi informazione
dal fratello ma con ben strana intonazione
della voce e nel viso una sarcastica espressione.
Sei mesi durò quell’inutile tormento
di far le bucce a quell’ente sgomento
che prudentemente il doppio gioco aveva fatto
quando a Milano erano state in atto
ben altre polizie, in parte di stato
e in parte a carattere “privato”.
Di queste io avevo fatto le spese
quando fui prigionier per qualche mese.

Al processo alla Muti fui interrogato
ma solo sulle centomila lire che le avevo dato.
Dalla gabbia disse Alceste, con intenzione,
che “il professore gli faceva soggezione”
a causa del “signorile suo comportamento”,
e gli aveva riservato “un buon trattamento”.

Ancillotti, allora, mi mostrò una fotografia
in cui Alceste Procelli era ritratto in piedi
dinnanzi al corpo rigido di un partigiano
appoggiato a T su uno sgabello in piano.
Il documento é stato in copertina stampato
ne “Il processo alla Muti” da Feltrinelli pubblicato.

Nonostante queste e molte prove
molto più tardi lessi su un quotidiano
che Alceste Porcelli era stato rilasciato
dopo una lieve pena che gli avean dato
e un giorno sul tram vidi lo sciancato
che nella Muti imperava superarmato
ma non mi riconobbe così cambiato.
Sono i misteri della giustizia di stato.

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Di scriver questo pezzo mi é venuto voglia
come quando su un albero spunta una foglia
non dirò come Guglielmo, Duca d’Aquitania
e Conte di Poitiers, primo Trobadour d’occitania:
“Fu scritto mentre dormivo sopra un cavallo”
“Fo trobaz en durmen sus un chivau”,
ma col “trobar leu” in esplicitezza
per dar dei fatti narrati piena contezza.
Il “trovar clus” a questa storia non si addice
perché non é narrata in forme “ermetiche”, si dice.

Come allor “trovar” delle parole in rima
che i fatti descrivano senza distima
del loro svolgersi naturale e dei sentimenti
da essi ispirati e dei pensieri ad essi inerenti
può essere arduo, ma se furon vissuti
con attenta passione, mai vanno perduti:
“Rem tene, verba sequentur” dice l’antico
proverbio, che ho sempre avuto per amico.

“Ce sont des choses qui arrivent” dit le proverbe
l’essentiel est que toujours le calme se coserve.