CAPITOLO I DIECI

Adriana era del partito il coraggioso corriere che valigie di stampa clandestina portava
da una città all’altra, un pericoloso mestiere

RITORNO A MILANO

Approfittando della totale confusione
in cui era piombata l’italica nazione
in ottobre feci ritorno a Milano
come se il tempo fosse trascorso invano.

All’università ripresi la mia occupazione
e nel clandestino Partito d’Azione
la mia attività politica e militare
prima per la “Gioventú d’azione” organizzare
poi come comandante delle brigate “Gielle”
che in città si formavano per quelle
azioni militari indispensabili al momento
della liberazione e come strumento
per tutelare la vita e gli istituti cittadini
da tedeschi e fascisti che come mastini
si fossero gettati in una lotta disperata
per vendicarsi della sconfitta scontata.

Per poco più di un anno durò la nuova vita
che condurre dovevo in modo semiclandestino
data la mia situazione militare mal definita
e la mia attività politica che un triste destino
poteva riservarmi: se in mani avverse fossi caduto
quasi certamente sarei stato perduto.
E ciò fu quel che accadde tutto a un tratto
l’otto dicembre millenovecentoquarantaquattro.

La mia casa in via Bardelli 6 avevo abbandonato
e in via Tiraboschi 8, dai suoceri, m’ero rifugiato.
Una rivista clandestina “Chiarezza” pubblicavo
ma per evitare possibili controlli polizieschi usavo
far tutto da me, a cominciare dal ciclostile
che artigianalmente avevo costruito con stile
assai primitivo ma perfettamente funzionale
all’uso cui era stato destinato come tale.
I ciclostili commerciali erano allora controllati
in quanto al loro acquisto venivan denunciati.

Di “Chiarezza” potei pubblicare due numeri soltanto
prima del mio arresto che mi mise in un canto.
Di ogni numero stampavo cinquecento copie
che venivan distribuite con le altre copie
di stampa clandestina pubblicata dal partito
in Lombardia, Piemonte e qualche altro sito.
Autori degli articoli eran vari amici
non necessariamente legati ad altri partiti.

Adriana era del partito il coraggioso corriere
che valigie di stampa clandestina portava
da una città all’altra, un pericoloso mestiere
che l’avrebbe condannata se la si fermava.
Un giorno alla stazione torinese la valigia
fece portare a un milite fascista con disinvolta alterigia.
Adriana usava di via Bardelli 6 la mia casa
per la sua attività clandestina come base.

Nella casa si riuniva pure il comitato centrale
del partito d’azione che nell’Italia settentrionale
insieme al CLNAI dirigeva la lotta resistenziale.
Un mistero per me e’ sempre stato
che il mio domicilio ufficiale mai fu “visitato”
quando nel dicembre ’44 fui arrestato.

In via Tiraboschi avevo una valigia
piena di stampe e documenti della vita clandestina
ma, dopo il mio arresto, un tizio pieno d’alterigia
il cui nome mi é ignoto, a ritirarla venne una mattina.
Chi lo mandasse non ho mai saputo
ma un sospetto sul mandante ho avuto:
che un folle terrore avesse sul contenuto
della mia valigia, e cioè che qualche indicazione
ci fosse sui nostri rapporti e la sua abitazione.

Quando lo seppi fui molto dispiaciuto
quei preziosi documenti d’aver perduto.
Nessuno mai mi disse perché ciò venne fatto
né i documenti mi vennero restituiti dopo lo sfratto.
In quelle circostanze a tutto bisogna rinunciare:
tempo, lavoro; spesso anche la vita sacrificare.

Ma quel che in quei momenti più sgomenta
é di scoprir sospetto e infedeltà nella tormenta
in chi fino allora si era sempre creduto
amico, ma che al momento ha agito da fottuto.
Dei nostri rapporti una concezione “feudale” ha dimostrato
autoproclamandosi a “prelievo e confisca” autorizzato.