CAPITOLO I TRE

tre fragorose esplosioni si succedettero nel ventre del natante. Un sottomarino francese con grandi precisioni
tre siluri avea piazzato nell’enorme bagnante

IL SILURAMENTO

Sulla nave “Crispi” dormii quella notte:
di un bombardamento lontano i lampi e le botte
fino a tardi ci tennero desti
ma di questo diuturno scempio non eravamo più mesti.
E fu così che il mattin seguente
ci avviammo per mare con tutta quella gente.

A metá strada fra l’Elba e la Corsica
col mare tranquillo, il sole e un dolce tepore
dopopranzo stavamo sul ponte superiore
in una cabina tutta vetrate e splendore
commentando del nostro futuro il tenore.

Improvvisamente un gran brusio sul ponte
si levó e tre fragorose esplosioni
si succedettero nel ventre del natante.
Un sottomarino francese con grandi precisioni
tre siluri avea piazzato nell’enorme bagnante
a cui età ed usura erano state fonte
di ridotte velocità e manovrabilitá sull’onde.

Tutte le esterne strutture della nave
disintegrate volavan come clave
e molte furon le vite
che andaron perdute, da queste colpite.

Molti dopopranzo in cabina erano scesi
e in essa dalle esplosioni furon sorpresi.
Mi dissero che passando nei camminamenti
si sentiva sparare contro i serramenti
che le deformazioni della nave avean bloccato,
ma senza che questi consentissero salvamenti,
sicché molti la nave a fondo ha trascinato
vivi, in quell’orribile, disperato, mortale stato.
Ottocento, mi dissero, furono i dannati
e seicento soltanto sopravvissero salvati.

Usciti sul ponte, istintivamente c’eravam recati
sul lato opposto alle esplosioni
e tutto ciò, naturalmente, senza emozioni.
Sempre in questi drammatici momenti
sembra che il sangue mi si scoli dalle vene
e freddo come ghiaccio divento immantinenti
risparmiandomi cosí un’infinitá di pene.

Ero di tutto punto rivestito
dalla militar divisa, scarponi ferrati compresi,
ma fortunatamente avea sopra il vestito
un ottimo salvagente allacciato e difesi
nelle tasche alcuni generi di conforto
nel caso che alcunché andasse storto.

Dal bordo della nave senza esitare
in piedi mi buttai nel sottostante mare
e dopo due o tre piani di gravitante andare
nel mare affondai finché la controspinta
del salvagente, da quella distinta,
mi riportò sano e salvo a galla,
ma in quel momento un tizio mi piombò in spalla
e fui da questi di nuovo sprofondato
per poi riaffiorare in superficiale stato.

Intanto la nave per inerzia s’era allontanata
e imbarcando acqua sulla poppa s’era drizzata
colla prua al vento. Nel mare la vidi infilarsi
verticalmente come una lama da intarsi
con sè trasportando negli abissi marini
le cose nostre e le sue vittime dai terribili destini.

Sulla superficie del mare un’enorme chiazza
di rottami, di morti e di vivi s’era fatta.
In questa per quattro ore restammo isolati
finché le due “navi di scorta” che al momento
eran sfuggite al tragico siluramento,
senza aver tentato una qualsiasi reazione
al responsabile di quella tremenda aggressione,
non ritornarono e i soccorsi ci furon dati.

Nelle tasche della giacca m’ero portato
un pacco di copie del giornale, allor vietato,
dal Partito d’Azione pubblicato,
“L’Italia Libera”, ma che in quello stato
dell’acqua di mare s’era inzuppato,
e perció ai pesci fu da me gettato
anche perché non fosse ritrovato
da chi dal mare m’avesse salvato.

Sulla nave un caldo letto mi fu offerto
che mi ristorò dal freddo sofferto;
poiché nelle ore trascorse in mare
dal freddo non ero difeso dalla militare
divisa e dagli scarponi che ho conservato
come ricordo di quell’evento sciagurato.