CAPITOLO I UNDICI

fui portato alla Muti in via Rovello, perquisito e interrogato come un pivello
8 DICEMBRE 1944: LA MUTI

L’otto dicembre ’44 a Porta Volta
la mia vita bruscamente ebbe una svolta.
Delle brigate “Gielle” comandante
la mia periodica ispezion volante
ai capisezione della città durante
venni fermato all’appuntamento
col caposezion di quel dipartimento.
Piantoni si chiamava il disgraziato:
fu preso e per paura avea parlato
e sul luogo gli agenti della Muti aveva portato.

Da Cagnoni e Della Vedova, i mutini
che mi aggredirono come mastini,
dal “giuda” alle mie spalle identificato,
fui portato alla Muti in via Rovello,
perquisito e interrogato come un pivello
da Alceste Porcelli, della Muti il “questore”
dal capitano Asti, suo “inquisitore”,
Cagnoni e Della Vedova, i “picchiatori”.

Mi trovarono in tasca una lettera chiusa
indirizzata “al signor Franchi”, come si usa
mio soprannome nella vita clandestina,
lettera consegnatami quella mattina.
“Don Alceste” l’apri in mia presenza
ma dissi che non ne conoscea l’essenza:
che il plico quel giorno mi era stato dato
per essere al signor “Franchi” consegnato:
conteneva la descrizione d’un attentato
a germanici automezzi ch’era stato
compiuto da un reparto “Gielle”.

Don Alceste alquanto sghignazzò su quelle
belliche imprese che – disse – non eran tali
da diventare per l’occupante fatali.
Chi fosse il signor Franchi non mi chiese,
Piantoni l’avea già detto a mie spese.
Avevo con me la foto di mia moglie e mia figlia;
Alceste la guardò e disse: “Anch’io ho una famiglia”.
Probabilmente già pensava al dopo
quando a sua volta sarebbe stato “un topo”.

Ogni sera subivo un interrogatorio
ma senza risultati: un gran mortorio;
giocavo a far l’ingenuo, senza ostensorio.
“O ca l’é stupid o ca l’é trop intelligent”
sentivo dire da quella strana “gent”.
“Pica no in faccia” diceva Cagnoni
per non lasciare lividi e bugnoni.

La cella era buia e senza finestre:
un po’ di paglia in terra, niente balestre.
Mascotte della Muti era uno sciancato
che sempre in giro andava superarmato
di mitra, rivoltelle e bombe a mano:
quando passava non era affatto insano
non guardarlo per non provocare un moto
esplosivo in quell’ambulante terremoto.
Sembrava l’albero che a Natale é preparato
sol che di graziosi ninnoli non era ornato.
Quando il “Duce” veniva in piazza Duomo
lo sciancato a tutto fiato gridava come un tuono:
“Evviva il Duce! Il resto é tutto merda!”
della “repubblica di Salò” era l'”Izqierda”!

Ogni sera subivo un interrogatorio, ma senza risultati: un gran mortorio

Un giorno dopo un interrogatorio,
“Don Alceste” mi mostra degli occhiali d’oro:
“Lo dico sempre di non sparar per strada!
dalle radici or bruca l’erba come biada!”
Gli occhiali eran di Kasman, del comando piazza
capo di stato maggiore. Come una mazza
mi colpì quella vista, ma non dissi niente
per non rivelar che l’conoscea politicamente.

Inventai una storia: un certo “Giulio”
di media età, media statura, un grigio miscuglio
mi portava stampe di propaganda
dalla stazione Nord da qualche banda
ma solo alcuni giorni dopo era l’appuntamento:
in tal modo il mio arresto era sgomento!
Sapevo che piazza Baracca era “bruciato”
per tutti i clandestini del mio stato.

Colà mi portarono con sfoggio di potenza, in venti
“questore” Alceste in testa, armati fino ai denti,
ma il fantasmatico “Giulio”, inesistente
non venne a quel finto “appuntamento”.
Dopo un’ora di attesa in piedi e di sgomento,
che altro “clandestino” si fosse avvicinato,
di cicoria un caffè mi venne offerto
e mi scusai per il disturbo sofferto:
“Al signor ‘Giulio’ il mio arresto sarà stato referto.”
Un giorno Alceste mi disse: “Non ho mai prestato
fede a quell’appuntamento, ma sono stato
a quel gioco, anche se inventato”
Voleva in tal modo placare il tormento
d’esser stato raggirato in quel momento.

Dopo Natale, pagando lire centomila,
che vennero portate alla Muti da mia moglie,
ma la vista di quei tipi fu un vero patimento,
venni mandato a San Vittore “in fila”
e mi sembrò d’essere rientrato
sotto le ali legali dello “stato”.

In effetti era già capitato
che un prigioniero, dopo esser malmenato,
alla periferia della città fosse portato
e senza documenti dall’auto rilasciato,
poi con una sventagliata di mitra liquidato
e in seguito, ignoto, alla moglie recapitato.